martedì 2 ottobre 2012

Il “prelievo in quota” di Tanker Enemy

Una delle critiche che vengono fatte spesso ai sostenitori della tesi delle “scie chimiche” è che in quasi due decenni di indagini, teorie e accuse (le tesi sciachimiste risalgono ai primi anni Novanta) nessuno di questi sostenitori ha mai fatto la cosa più semplice: prelevare un campione di una scia ritenuta “chimica” e farlo analizzare in condizioni rigorose.

Di conseguenza, il titolo “Scie chimiche: eseguito prelievo in quota” di un articolo pubblicato da Brucialanotizia.it sembrerebbe a prima vista un importante passo avanti.

Tuttavia la lettura dell'articolo rivela un dettaglio molto deludente: il campione è stato prelevato dentro la cabina di un volo di linea, non direttamente all'esterno. In altre parole, non è un campione di “scia chimica”.

È vero, come segnala l'articolo, che parte dell'aria della cabina è prelevata dall'esterno, ma un prelievo effettuato in queste condizioni può aver subito ogni sorta di contaminazione e soprattutto non si tratta di un campione d'aria di bordo acquisito durante il volo in quota, ma di un prelievo “raccolto da una insenatura delle pareti interne del jet”. Il campione potrebbe essere semplice sporcizia accumulatasi negli anni: potrebbe essere un residuo della fabbricazione iniziale dell'aereo o dei prodotti usati dagli addetti alle pulizie a terra. Non c'è nessuna conferma che sia davvero proveniente dalle quote di volo.

In queste condizioni, la presenza di “bario, alluminio, cadmio” nel campione – preso da un'insenatura di un aereo fatto in gran parte d'alluminio – non pare particolarmente straordinaria o sensazionale, e le analisi hanno un valore sostanzialmente nullo.

I metodi d'indagine di questi sostenitori delle “scie chimiche” si rivelano, insomma, a dir poco dilettanteschi e atti a screditare ogni indagine critica sulle emissioni inquinanti degli aerei.


domenica 26 febbraio 2012

Il CDC studia il Morbo di Morgellons: è rarissimo ed è psicologico, le “scie chimiche” non c'entrano

L'ente sanitario statunitense CDC (Centers for Disease Control and Prevention) ha svolto uno studio della durata di tre anni, dal 2006 al 2008, sul cosiddetto “morbo di Morgellons", una sintomatologia caratterizzata dalla misteriosa comparsa di lesioni cutanee dalle quali sembrano emergere peli sintetici. Molti sostenitori della tesi del complotto delle “scie chimiche” affermano che questo “morbo” è causato appunto dalle “scie chimiche”, senza tuttavia spiegare come.

I risultati dello studio sono stati pubblicati il 25 gennaio 2012 in un articolo intitolato Clinical, Epidemiologic, Histopathologic and Molecular Features of an Unexplained Dermopathy, di Pearson ML, Selby JV, Katz KA, Cantrell V, Braden CR e colleghi, disponibile presso PLOS One.

Lo studio, costato quasi 600.000 dollari, è stato svolto su un campione di quasi 3 milioni di americani. Di questo campione, 115 persone avevano manifestato sintomi compatibili con quelli del “morbo di Morgellons” e avevano chiesto cure mediche per trattarli.

Sulla base dell'esame approfondito di queste persone, il “morbo” viene definito dai ricercatori come una “dermopatia non spiegata” ma simile alla parassitosi illusoria: in altre parole, le sue vittime sarebbero sinceramente convinte di avere dei parassiti sotto la pelle, ma in realtà questi parassiti non ci sono. Si tratta dunque di una condizione di sofferenza reale, che come tale va rispettata e gestita, ma dovuta a problemi psicologici, non a cause fisiche esterne.

Un altro aspetto interessante dello studio è la rarità del morbo: solo 115 persone sul campione di quasi 3 milioni di americani sottoposto a selezione equivalgono allo 0,004% della popolazione (una persona ogni 24.700 circa). La diffusione a macchia d'olio paventata da alcuni siti catastrofisti viene insomma smentita.

Inoltre i peli che compaiono nelle lesioni cutanee sono compatibili con le fibre degli indumenti, quasi sempre cotone; in alcuni casi sono stati identificati come poliammide (probabilmente nylon).

sabato 28 gennaio 2012

Buchi nelle nuvole già nel 1965

Una delle asserzioni ricorrenti dei sostenitori della tesi delle “scie chimiche” è che i fenomeni atmosferici anomali da loro attribuiti alle “scie” siano nuovi e recenti. I “buchi nelle nuvole” sono, secondo loro, una di queste anomalie recenti.

Si tratta in realtà di normali “hole-punch cloud” o “fallstreak hole”, già spiegate in questo articolo, o di altri effettii atmosferici dovuti a rilievi geografici e ben noti a chi si occupa professionalmente di meteorologia.

Inoltre questo fenomeno non è affatto recente. Se ne trova traccia già nel 1965, quasi cinquant'anni fa, nelle fotografie scattate dagli astronauti delle missioni Gemini. L'immagine qui sotto è la foto numero S65-63854_G07-H, datata 8 dicembre 1965 e scattata durante la missione Gemini 7 sopra le Antille Minori. In alto a sinistra si notano alcuni “buchi” nella coltre di nubi.



Questo è un ingrandimento della porzione pertinente della foto precedente. I “buchi” sembrano essere situati in corrispondenza di isole o rilievi.